GLI SCAVI IN CORSO A GOBEKLI TEPE (TURCHIA) DI ROVINE RISALENTI AL 9500 A.C. CIRCA.
VIENE RITENUTO UN LUOGO DI CULTO, FORSE FREQUENTATO A TALE SCOPO ANCHE DA POPOLAZIONI LONTANE, IN QUESTO CASO SAREBBE IL PIU' ANTICO "TEMPIO" MAI SCOPERTO..
Tutte le immagini della galleria sono state scattate nel dicembre 2011 dal giornalista-archeologo Antonio Ratti.
Sotto la galleria un suo articolo.
Più in basso, il Comunicato Stampa RAI "Alla ricerca del "Paradiso Perduto": Missione Rai e CeSMAP in Turchia.
Sotto la galleria un suo articolo.
Più in basso, il Comunicato Stampa RAI "Alla ricerca del "Paradiso Perduto": Missione Rai e CeSMAP in Turchia.
GOBEKLI TEPE
La scoperta nella Turchia sud-orientale di un luogo di culto megalitico pre-neolitico, databile al 9500 A.C., settemila anni prima della costruzione di Stonehenge, sta rivoluzionando le teorie sull’evoluzione umana e le tappe di avvicinamento alla rivoluzione Neolitica
Allontanandosi dalla città di Urfa in direzione di Marin, lungo l'attuale confine che divide la Turchia dalla Siria, dopo pochi chilometri ci s’imbatte in un cartello isolato dal nome quasi impronunciabile: Göbekli Tepe. Abbandonando la via maestra, la strada dopo poche centinaia di metri improvvisamente si restringe e perde il suo manto di asfalto, trasformandosi in uno sterrato che sale dolcemente, serpeggiando tra aspre e basse colline profondamente modellate dalla mano dell'uomo nel corso dei secoli. Man mano che ci s’inoltra per questo paesaggio si incontrano abitazioni isolate di contadini, finché dopo una decina di chilometri, in prossimità del villaggio di Karaharabe la via si biforca e sale decisamente, seguendo i bordi di una collina calcarea che conduce a un falsopiano dove bruscamente si arresta.
Siamo arrivati sulla cima di un “tepe”, che in turco significa collina artificiale-tumulo e qui la vista è superba, impareggiabile. Sebbene l'altitudine superi a malapena i trecento metri, siamo al vertice di un rilievo collinare da cui lo sguardo non trova ostacoli per decine e decine di chilometri in ogni direzione. E se si decide di avventurarvisi in una tersa giornata invernale, e si è fortunati, verso nord si stagliano i primi contrafforti innevati delle montagne della Turchia sud-orientale in direzione di Diyarbakir, dominate dall'imponente mole del vulcano Karacadağ, verso est le sorgenti del fiume Balik (chiamato nella regione Cülap Çay), verso sud la fertile pianura di Harran e a ovest i rilievi collinari su cui si adagia la sacra città di Urfa.
Il sito di Göbekli Tepe si trova sulle propaggini centro-settentrionali della pianura di Harran, che prende il nome dall'omonima città sede dell'antichissimo culto della dea lunare Sin, citata nel libro della Genesi come residenza di Abramo prima del suo viaggio a Canaan, i cui imponenti resti si stagliano settanta chilometri a sud, in prossimità del confine siriano. Passaggio obbligato fin dalle epoche più remote per le carovane e gli eserciti in marcia dalle pianure mesopotamiche verso l'altopiano anatolico, il paesaggio in ogni direzione è costellato da tepe che racchiudono insediamenti di epoche diverse.
Göbekli Tepe è citato la prima volta con la sigla V 52/1 in un articolo “Survey Work in Southeastern Anatolia” di Peter Benedict, membro della spedizione congiunta turco-statunitense che tra il 1963 e il 1972 esplorò l'area sud-orientale della Turchia nell'ambito di un progetto di localizzazione di siti preistorici. Benedict però non sembrò capire l'importanza di questo sito, o forse i tempi non erano maturi perché il suo segreto venisse svelato. Fatto sta che nel suo rapporto si parla di un complesso di collinette in terra rossa dalla forma tondeggiante localizzate su un'alta cresta calcarea con andamento Sud-Est.
Benedict non aveva capito che sotto i suoi piedi c'era una collina artificiale e vista la presenza sulla sua sommità di alcuni cimiteri musulmani la classificò come sito di epoca tarda. E questo nonostante il suo rapporto menzionasse sei pezzi di ossidiana e ben 2996 di selce di ottima qualità! Il tutto cadde nell'oblio per oltre trent’anni, finché nel 1994, una missione turco-tedesca, guidata dal prof. Klaus Schmidt, riuscì a giudicare in modo corretto la natura del sito, interpretando le “collinette” di Benedict come una compatta collina artificiale di grandi dimensioni in grado di celare al suo interno un vasto complesso megalitico.
Quelle che Benedict interpretò come possibili frammenti di steli funerarie di epoca recente, erano, invece, i resti di pilastri in calcare a forma di “T” che costituivano gli elementi portanti di grandi circoli megalitici. Schmidt capì immediatamente l'importanza del complesso. I primi scavi sistematici furono compiuti l’anno seguente e fin da subito emerse che ci si trovava di fronte a qualcosa di unico e straordinario, qualcosa che avrebbe potuto rivoluzionare non solo tutte le precedenti teorie di popolamento dell'area, ma l'intero concetto di sviluppo della Rivoluzione Neolitica.
Göbekli Tepe è un sito megalitico pre-neolitico, edificato da una popolazione di cacciatori-raccoglitori che non conosceva ancora l'uso di metalli, ceramica, agricoltura allevamento, cioè quella che alcuni studiosi definirebbero popolazioni mesolitiche, che le datazioni al radiocarbonio calibrato, ricavate da materiale organico recuperato negli strati più antichi, hanno fissato ad almeno il 9500 A.C., più di 11500 anni fa. A oggi è stato portato alla luce solo il 5% del sito, e se le prospezioni con radar GPR e le analisi geomagnetiche realizzate da Schmidt saranno esatte, ci sono buone probabilità che il complesso si estenda su circa 10 ettari, con circa 20 circoli megalitici complessivamente. Ciò significa che oltre ai quattro già dissepolti, denominati Strutture A, B, C, D, altri 16 aspettano di essere portati alla luce.
Il complesso è una struttura compatta che nel corso degli scavi ha rivelato più strati di accumulo, al cui interno non sono stati individuati veri e propri depositi, ne sono stati trovati materiali ceramici o metalli: solo ossa e semi carbonizzati di specie animali o vegetali selvatiche. Non ci sono allo stato attuale degli scavi elementi che possano documentare alcuna pratica agricola o di allevamento. Come lo stesso Schmidt ha più volte posto l’accento, non si muovono pietre di dieci tonnellate senza una buona ragione, in particolar modo se non si hanno a disposizione strumenti per lavorare e trainare oggetti di tali dimensioni. In questo caso sembra chiaro che il lavoro fu eseguito manualmente con sforzi ciclopici e ingente dispendio di energie umane e materiali. Il lavoro di estrazione nelle cave, che sono state localizzate sugli altopiani calcarei tutto intorno a Göbekli Tepe, e la costruzione dei recinti megalitici non può essere stato fatto in pochi giorni da uno sparuto numero di persone.
I cacciatori-raccoglitori che vivevano in prossimità di Göbekli per un lungo periodo avrebbero causato un serio sovra sfruttamento delle risorse naturali locali. Così sembra emergere l’ipotesi che fu trovata una soluzione di uso controllato di alcune di queste risorse, principalmente cereali, che portarono a una coltivazione incipiente. L’elemento iniziale non fu un disastro naturale, da cui una popolazione potrebbe essere fuggita verso altre regioni.
La loro necessità di incontrarsi nello stesso posto sempre più spesso, sembra essere stato l’elemento basilare per l’origine delle pratiche neolitiche. Oltre l’elemento “rituale” non si conoscono le esatte funzioni del sito, l’arco cronologico dei suoi edifici e le distanze che queste genti dovevano percorrere per incontrarsi nel sito. Non è chiaro neppure quale idea o concetto sovraintendesse alla costruzione dei pilastri a forma di “T”, che sembrerebbero riprendere un concetto antropomorfo.
Gli elementi più rilevanti sono stati trovati nel livello più basso, in concomitanza della fase più antica, dove i pilastri a forma di “T” raggiungono le dimensioni maggiori: in genere l'altezza media è intorno ai 3-3,5 m, ma per quelli centrali, elevati come nel caso della struttura D su un basamento decorato con scene animalistiche, i 7 m. Per i pilastri più grandi si parla di pesi intorno alle 10 tonnellate. L'elemento, però, ancora più sbalorditivo è l'esistenza nei circoli più antichi, datati al 9500 A.C., di una complessa iconografia, presente in almeno il cinquanta percento dei pilastri, sotto forma di raffigurazioni scolpite, come ortostati, o più raramente rappresentazioni a tutto tondo, una sorta di primitiva statuaria, di animali selvatici, rappresentati singolarmente o in gruppo: serpenti, cinghiali, volatili, rapaci, bucrani, scorpioni, gazzelle, iene, felini, ecc.
In certi casi, meno frequenti, le scene sono più articolate: allo stile animalistico si affianca una complessa simbologia, depositaria di una spiritualità il cui significato in parte ci sfugge, come nel caso di una sorta di danza o banchetto di avvoltoi tra cui sembra emergere un oggetto sferico, interpretabile come una testa umana, e nello spazio intorno oggetti il cui senso si fa sempre più impenetrabile. In alto, infatti, spiccano come poggiate su un canniccio dall'intarsio elaborato enigmatici oggetti in sequenza che ricordano molto da vicino i famosi “pesi” in pietra (stone “weights” o “handbags”), che sono stati trovati principalmente in Iran, Afghanistan e Turkmenistan.
La recente scoperta della civiltà di Jiroft a sud di Kerman in Iran, ha risollevato il problema con il ritrovamento di numerosi esemplari in clorite o steatite dall’'iconografia complessa in stile animalistico, che ricorda prepotentemente nelle forme quella di Göbekli Tepe. Qualsiasi parallelo sembra prematuro e azzardato, certo però che la somiglianza e davvero sorprendente.
Sebbene più rare, le rappresentazioni umane sono, comunque, presenti. Nei due pilastri centrali della struttura D, infatti, sono raffigurati in maniera molto stilizzata, figure antropomorfe dalle braccia che si muovono sul lato lungo del pilastro, per poi unirsi in una sorta di atto di “raccoglimento” con le mani giunte. Poco più sotto, quella che sembra una cintura lungo la vita si collega sul davanti a una sorta di gonnellino, la cui forma ricorda la pelle di un animale.
Questa iconografia sembra ricollegarsi in maniera inequivocabile alle rappresentazioni su alcune steli trovate in alcuni insediamenti neolitici come Cayonu (40 km a nord di Diyabarkir) a dimostrazione di una continuità ideologica e spirituale, oltre che stilistica, tra le popolazioni stanziate in questa regione nel periodo di passaggio verso il Neolitico pieno. La popolazione di Cayonu, che è collocabile in un orizzonte cronologico tra il 7200 e il 6600 A. C., potrebbe aver acquisito l'eredità figurativa delle popolazioni di cacciatori raccoglitori che edificarono Göbekli Tepe. Secondo gli ultimi studi potrebbero essere state proprio queste popolazioni a portare a compimento l'addomesticamento del maiale.
La sensazione che si ha guardando queste scene è quella di un sottinteso timore, un profondo rispetto, che sembra pervadere tutto il santuario. Una spiritualità associata forse, come ha ipotizzato Schmidt, a una sorta di culto della morte. Lo stesso scavatore ha ipotizzato di aspettarsi prima o poi di trovare sotto la pavimentazione o nei muri perimetrali delle sepolture, come se questi circoli fossero santuari dove l'uomo iniziava, a stretto contatto con il mondo per cui nutriva paura e rispetto, ma anche sostentamento, il suo viaggio verso l’aldilà o la rinascita; oppure una sorta di sacrificio per ingraziarsi queste “divinità” mostruose da cui dipendeva la loro stessa esistenza.
Danielle Stordeur, archeologo del Centro Nazionale per le Ricerche Scientifiche di Francia, ha enfatizzato il significato delle rappresentazioni di avvoltoi. Alcune culture hanno a lungo creduto che i rapaci trasportassero le carni del defunto in cielo. Stordeur ha trovato gli stessi simboli in siti coevi a Göbekli a meno di cento chilometri in Siria, da cui si conviene che stiamo parlando della stessa cultura, e la simbologia più importante è la stessa. Anche a Çatalhöyük, abitato del neolitico aceramico (7000-6000 A.C.) localizzato nella piana di Konya, quattrocento chilometri a ovest di Göbekli, la presenza degli avvoltoi è un elemento centrale delle sue famose ed elaborate pitture parietali. Spesso gli avvolti sono raffigurati ad ali spiegate nell’atto di catturare o attaccare corpi, il più delle volte privi del cranio, o lasciarli cadere nel vuoto. In una scena molto più complessa due coppie di avvoltoi volteggiano intorno a quelle che sembrano torri della morte: nel primo caso lasciano cadere un corpo a testa in giù, nel secondo sembrano fare la guardia a un teschio poggiato su una di queste costruzioni.
Il santuario improvvisamente intorno all’ottomila A. C., per ragioni che forse non sapremo mai, fu completamente sepolto sotto tonnellate di pietrisco, sigillandone gli strati più antichi fino ai giorni nostri. Questa è una delle ragioni principali che spiega il suo eccezionale stato di conservazione. Anche se alcuni pilastri sembrano volutamente danneggiati già in epoca antica, non sembra che su
Göbekli si sia abbattuta una cieca violenza distruttrice, ma piuttosto si può cogliere la volontà di farlo cadere in una sorta di oblio volontario, le cui ragioni sono lontanissime dall’essere comprese, semmai solo ipotizzate. La vita del sito però non ebbe termine. Nei livelli più tardi il concetto di sacralità sembra mutare, i templi cambiano forma, da circolari diventano quadrangolari, perdono in monumentalità e ricchezza iconografica, ma alcuni elementi, per quanto ridimensionati, come i pilastri a forma di “T” e la simbologia animalistica, continuano a persistere. Certo il sito sembra perdere di vigore e di forza, il suo originario messaggio spirituale sembra affievolirsi o forse ancora meglio i potenti stimoli che ne avevano portato all’edificazione vengono meno, o cambiano di significato.
Non esiste in tutto il Vicino Oriente, per il X millennio A.C., qualcosa che possa essere anche lontanamente paragonato a Göbekli Tepe. L’aspetto sbalorditivo è l’aver stravolto completamente tutti i parametri con cui generazioni di studiosi si sono confrontati, ogni modello di riferimento. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che una popolazione di cacciatori-raccoglitori potesse edificare un’opera così monumentale con così poche risorse a disposizione. Questa scoperta rivoluziona il nostro modo di concepire la cronologia di avvicinamento alla rivoluzione Neolitica e come si arrivò a essa: fu una forma di religiosità primitiva, ma potente allo stesso tempo, a gettare le basi, attraverso uno sforzo collettivo, per le prime forme di aggregazione e sfruttamento delle risorse che saranno poi le basi per le conquiste del Neolitico: agricoltura, allevamento, centri abitati, ceramica, metallurgia. In sintesi la prima scintilla non fu materiale ma spirituale.
La scoperta nella Turchia sud-orientale di un luogo di culto megalitico pre-neolitico, databile al 9500 A.C., settemila anni prima della costruzione di Stonehenge, sta rivoluzionando le teorie sull’evoluzione umana e le tappe di avvicinamento alla rivoluzione Neolitica
Allontanandosi dalla città di Urfa in direzione di Marin, lungo l'attuale confine che divide la Turchia dalla Siria, dopo pochi chilometri ci s’imbatte in un cartello isolato dal nome quasi impronunciabile: Göbekli Tepe. Abbandonando la via maestra, la strada dopo poche centinaia di metri improvvisamente si restringe e perde il suo manto di asfalto, trasformandosi in uno sterrato che sale dolcemente, serpeggiando tra aspre e basse colline profondamente modellate dalla mano dell'uomo nel corso dei secoli. Man mano che ci s’inoltra per questo paesaggio si incontrano abitazioni isolate di contadini, finché dopo una decina di chilometri, in prossimità del villaggio di Karaharabe la via si biforca e sale decisamente, seguendo i bordi di una collina calcarea che conduce a un falsopiano dove bruscamente si arresta.
Siamo arrivati sulla cima di un “tepe”, che in turco significa collina artificiale-tumulo e qui la vista è superba, impareggiabile. Sebbene l'altitudine superi a malapena i trecento metri, siamo al vertice di un rilievo collinare da cui lo sguardo non trova ostacoli per decine e decine di chilometri in ogni direzione. E se si decide di avventurarvisi in una tersa giornata invernale, e si è fortunati, verso nord si stagliano i primi contrafforti innevati delle montagne della Turchia sud-orientale in direzione di Diyarbakir, dominate dall'imponente mole del vulcano Karacadağ, verso est le sorgenti del fiume Balik (chiamato nella regione Cülap Çay), verso sud la fertile pianura di Harran e a ovest i rilievi collinari su cui si adagia la sacra città di Urfa.
Il sito di Göbekli Tepe si trova sulle propaggini centro-settentrionali della pianura di Harran, che prende il nome dall'omonima città sede dell'antichissimo culto della dea lunare Sin, citata nel libro della Genesi come residenza di Abramo prima del suo viaggio a Canaan, i cui imponenti resti si stagliano settanta chilometri a sud, in prossimità del confine siriano. Passaggio obbligato fin dalle epoche più remote per le carovane e gli eserciti in marcia dalle pianure mesopotamiche verso l'altopiano anatolico, il paesaggio in ogni direzione è costellato da tepe che racchiudono insediamenti di epoche diverse.
Göbekli Tepe è citato la prima volta con la sigla V 52/1 in un articolo “Survey Work in Southeastern Anatolia” di Peter Benedict, membro della spedizione congiunta turco-statunitense che tra il 1963 e il 1972 esplorò l'area sud-orientale della Turchia nell'ambito di un progetto di localizzazione di siti preistorici. Benedict però non sembrò capire l'importanza di questo sito, o forse i tempi non erano maturi perché il suo segreto venisse svelato. Fatto sta che nel suo rapporto si parla di un complesso di collinette in terra rossa dalla forma tondeggiante localizzate su un'alta cresta calcarea con andamento Sud-Est.
Benedict non aveva capito che sotto i suoi piedi c'era una collina artificiale e vista la presenza sulla sua sommità di alcuni cimiteri musulmani la classificò come sito di epoca tarda. E questo nonostante il suo rapporto menzionasse sei pezzi di ossidiana e ben 2996 di selce di ottima qualità! Il tutto cadde nell'oblio per oltre trent’anni, finché nel 1994, una missione turco-tedesca, guidata dal prof. Klaus Schmidt, riuscì a giudicare in modo corretto la natura del sito, interpretando le “collinette” di Benedict come una compatta collina artificiale di grandi dimensioni in grado di celare al suo interno un vasto complesso megalitico.
Quelle che Benedict interpretò come possibili frammenti di steli funerarie di epoca recente, erano, invece, i resti di pilastri in calcare a forma di “T” che costituivano gli elementi portanti di grandi circoli megalitici. Schmidt capì immediatamente l'importanza del complesso. I primi scavi sistematici furono compiuti l’anno seguente e fin da subito emerse che ci si trovava di fronte a qualcosa di unico e straordinario, qualcosa che avrebbe potuto rivoluzionare non solo tutte le precedenti teorie di popolamento dell'area, ma l'intero concetto di sviluppo della Rivoluzione Neolitica.
Göbekli Tepe è un sito megalitico pre-neolitico, edificato da una popolazione di cacciatori-raccoglitori che non conosceva ancora l'uso di metalli, ceramica, agricoltura allevamento, cioè quella che alcuni studiosi definirebbero popolazioni mesolitiche, che le datazioni al radiocarbonio calibrato, ricavate da materiale organico recuperato negli strati più antichi, hanno fissato ad almeno il 9500 A.C., più di 11500 anni fa. A oggi è stato portato alla luce solo il 5% del sito, e se le prospezioni con radar GPR e le analisi geomagnetiche realizzate da Schmidt saranno esatte, ci sono buone probabilità che il complesso si estenda su circa 10 ettari, con circa 20 circoli megalitici complessivamente. Ciò significa che oltre ai quattro già dissepolti, denominati Strutture A, B, C, D, altri 16 aspettano di essere portati alla luce.
Il complesso è una struttura compatta che nel corso degli scavi ha rivelato più strati di accumulo, al cui interno non sono stati individuati veri e propri depositi, ne sono stati trovati materiali ceramici o metalli: solo ossa e semi carbonizzati di specie animali o vegetali selvatiche. Non ci sono allo stato attuale degli scavi elementi che possano documentare alcuna pratica agricola o di allevamento. Come lo stesso Schmidt ha più volte posto l’accento, non si muovono pietre di dieci tonnellate senza una buona ragione, in particolar modo se non si hanno a disposizione strumenti per lavorare e trainare oggetti di tali dimensioni. In questo caso sembra chiaro che il lavoro fu eseguito manualmente con sforzi ciclopici e ingente dispendio di energie umane e materiali. Il lavoro di estrazione nelle cave, che sono state localizzate sugli altopiani calcarei tutto intorno a Göbekli Tepe, e la costruzione dei recinti megalitici non può essere stato fatto in pochi giorni da uno sparuto numero di persone.
I cacciatori-raccoglitori che vivevano in prossimità di Göbekli per un lungo periodo avrebbero causato un serio sovra sfruttamento delle risorse naturali locali. Così sembra emergere l’ipotesi che fu trovata una soluzione di uso controllato di alcune di queste risorse, principalmente cereali, che portarono a una coltivazione incipiente. L’elemento iniziale non fu un disastro naturale, da cui una popolazione potrebbe essere fuggita verso altre regioni.
La loro necessità di incontrarsi nello stesso posto sempre più spesso, sembra essere stato l’elemento basilare per l’origine delle pratiche neolitiche. Oltre l’elemento “rituale” non si conoscono le esatte funzioni del sito, l’arco cronologico dei suoi edifici e le distanze che queste genti dovevano percorrere per incontrarsi nel sito. Non è chiaro neppure quale idea o concetto sovraintendesse alla costruzione dei pilastri a forma di “T”, che sembrerebbero riprendere un concetto antropomorfo.
Gli elementi più rilevanti sono stati trovati nel livello più basso, in concomitanza della fase più antica, dove i pilastri a forma di “T” raggiungono le dimensioni maggiori: in genere l'altezza media è intorno ai 3-3,5 m, ma per quelli centrali, elevati come nel caso della struttura D su un basamento decorato con scene animalistiche, i 7 m. Per i pilastri più grandi si parla di pesi intorno alle 10 tonnellate. L'elemento, però, ancora più sbalorditivo è l'esistenza nei circoli più antichi, datati al 9500 A.C., di una complessa iconografia, presente in almeno il cinquanta percento dei pilastri, sotto forma di raffigurazioni scolpite, come ortostati, o più raramente rappresentazioni a tutto tondo, una sorta di primitiva statuaria, di animali selvatici, rappresentati singolarmente o in gruppo: serpenti, cinghiali, volatili, rapaci, bucrani, scorpioni, gazzelle, iene, felini, ecc.
In certi casi, meno frequenti, le scene sono più articolate: allo stile animalistico si affianca una complessa simbologia, depositaria di una spiritualità il cui significato in parte ci sfugge, come nel caso di una sorta di danza o banchetto di avvoltoi tra cui sembra emergere un oggetto sferico, interpretabile come una testa umana, e nello spazio intorno oggetti il cui senso si fa sempre più impenetrabile. In alto, infatti, spiccano come poggiate su un canniccio dall'intarsio elaborato enigmatici oggetti in sequenza che ricordano molto da vicino i famosi “pesi” in pietra (stone “weights” o “handbags”), che sono stati trovati principalmente in Iran, Afghanistan e Turkmenistan.
La recente scoperta della civiltà di Jiroft a sud di Kerman in Iran, ha risollevato il problema con il ritrovamento di numerosi esemplari in clorite o steatite dall’'iconografia complessa in stile animalistico, che ricorda prepotentemente nelle forme quella di Göbekli Tepe. Qualsiasi parallelo sembra prematuro e azzardato, certo però che la somiglianza e davvero sorprendente.
Sebbene più rare, le rappresentazioni umane sono, comunque, presenti. Nei due pilastri centrali della struttura D, infatti, sono raffigurati in maniera molto stilizzata, figure antropomorfe dalle braccia che si muovono sul lato lungo del pilastro, per poi unirsi in una sorta di atto di “raccoglimento” con le mani giunte. Poco più sotto, quella che sembra una cintura lungo la vita si collega sul davanti a una sorta di gonnellino, la cui forma ricorda la pelle di un animale.
Questa iconografia sembra ricollegarsi in maniera inequivocabile alle rappresentazioni su alcune steli trovate in alcuni insediamenti neolitici come Cayonu (40 km a nord di Diyabarkir) a dimostrazione di una continuità ideologica e spirituale, oltre che stilistica, tra le popolazioni stanziate in questa regione nel periodo di passaggio verso il Neolitico pieno. La popolazione di Cayonu, che è collocabile in un orizzonte cronologico tra il 7200 e il 6600 A. C., potrebbe aver acquisito l'eredità figurativa delle popolazioni di cacciatori raccoglitori che edificarono Göbekli Tepe. Secondo gli ultimi studi potrebbero essere state proprio queste popolazioni a portare a compimento l'addomesticamento del maiale.
La sensazione che si ha guardando queste scene è quella di un sottinteso timore, un profondo rispetto, che sembra pervadere tutto il santuario. Una spiritualità associata forse, come ha ipotizzato Schmidt, a una sorta di culto della morte. Lo stesso scavatore ha ipotizzato di aspettarsi prima o poi di trovare sotto la pavimentazione o nei muri perimetrali delle sepolture, come se questi circoli fossero santuari dove l'uomo iniziava, a stretto contatto con il mondo per cui nutriva paura e rispetto, ma anche sostentamento, il suo viaggio verso l’aldilà o la rinascita; oppure una sorta di sacrificio per ingraziarsi queste “divinità” mostruose da cui dipendeva la loro stessa esistenza.
Danielle Stordeur, archeologo del Centro Nazionale per le Ricerche Scientifiche di Francia, ha enfatizzato il significato delle rappresentazioni di avvoltoi. Alcune culture hanno a lungo creduto che i rapaci trasportassero le carni del defunto in cielo. Stordeur ha trovato gli stessi simboli in siti coevi a Göbekli a meno di cento chilometri in Siria, da cui si conviene che stiamo parlando della stessa cultura, e la simbologia più importante è la stessa. Anche a Çatalhöyük, abitato del neolitico aceramico (7000-6000 A.C.) localizzato nella piana di Konya, quattrocento chilometri a ovest di Göbekli, la presenza degli avvoltoi è un elemento centrale delle sue famose ed elaborate pitture parietali. Spesso gli avvolti sono raffigurati ad ali spiegate nell’atto di catturare o attaccare corpi, il più delle volte privi del cranio, o lasciarli cadere nel vuoto. In una scena molto più complessa due coppie di avvoltoi volteggiano intorno a quelle che sembrano torri della morte: nel primo caso lasciano cadere un corpo a testa in giù, nel secondo sembrano fare la guardia a un teschio poggiato su una di queste costruzioni.
Il santuario improvvisamente intorno all’ottomila A. C., per ragioni che forse non sapremo mai, fu completamente sepolto sotto tonnellate di pietrisco, sigillandone gli strati più antichi fino ai giorni nostri. Questa è una delle ragioni principali che spiega il suo eccezionale stato di conservazione. Anche se alcuni pilastri sembrano volutamente danneggiati già in epoca antica, non sembra che su
Göbekli si sia abbattuta una cieca violenza distruttrice, ma piuttosto si può cogliere la volontà di farlo cadere in una sorta di oblio volontario, le cui ragioni sono lontanissime dall’essere comprese, semmai solo ipotizzate. La vita del sito però non ebbe termine. Nei livelli più tardi il concetto di sacralità sembra mutare, i templi cambiano forma, da circolari diventano quadrangolari, perdono in monumentalità e ricchezza iconografica, ma alcuni elementi, per quanto ridimensionati, come i pilastri a forma di “T” e la simbologia animalistica, continuano a persistere. Certo il sito sembra perdere di vigore e di forza, il suo originario messaggio spirituale sembra affievolirsi o forse ancora meglio i potenti stimoli che ne avevano portato all’edificazione vengono meno, o cambiano di significato.
Non esiste in tutto il Vicino Oriente, per il X millennio A.C., qualcosa che possa essere anche lontanamente paragonato a Göbekli Tepe. L’aspetto sbalorditivo è l’aver stravolto completamente tutti i parametri con cui generazioni di studiosi si sono confrontati, ogni modello di riferimento. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che una popolazione di cacciatori-raccoglitori potesse edificare un’opera così monumentale con così poche risorse a disposizione. Questa scoperta rivoluziona il nostro modo di concepire la cronologia di avvicinamento alla rivoluzione Neolitica e come si arrivò a essa: fu una forma di religiosità primitiva, ma potente allo stesso tempo, a gettare le basi, attraverso uno sforzo collettivo, per le prime forme di aggregazione e sfruttamento delle risorse che saranno poi le basi per le conquiste del Neolitico: agricoltura, allevamento, centri abitati, ceramica, metallurgia. In sintesi la prima scintilla non fu materiale ma spirituale.
Alla ricerca del "Paradiso Perduto": Missione Rai e CeSMAP in Turchia.
Dal 24 Aprile a metà Maggio 2013, una missione scientifica organizzata dalla Rai - Radio Televisione Italiana, in collaborazione col CeSMAP, Centro Studi e Museo d'Arte Preistorica di Pinerolo e con l'appoggio del National Geographic di Washington, sarà in Turchia, nel sito preistorico di Göbekli Tepe, per raccogliere informazioni scientifiche e realizzare alcuni servizi televisivi per il Tg scientifico tecnologico Leonardo della Tgr e per varie reti Rai. Il gruppo è formato dal Dr. Maurizio Menicucci, inviato scientifico della RAI-TV e referente della Missione, dal Prof. Dario Seglie, Direttore del CeSMAP, dall'operatore Sergio Zenatti, dal fotografo e operatore culturale Mario Della Casa, e da alcuni studiosi turchi, tra cui il Prof. Bora Cem Sevencan. A guidarli nel lavoro sul campo sarà il Prof. Klaus Schmidt dell'Università di Berlino, scopritore, nel 1994, del complesso monumentale di Gobekli Tepe e direttore degli scavi.
Gobekli Tepe, a 18 chilometri dalla città di Urfa sacra ad Abramo, risale al Paleolitico finale, quasi 12 millenni fa – 7 mila anni prima delle piramidi d'Egitto e di Stonehenge - ed è considerato il ritrovamento archeologico più stupefacente degli ultimi anni: templi circolari con grandi pilastri litici del peso medio di 50 tonnellate, lavorati con utensili di pietra, scolpiti con figure di animali e antropomorfe in basso e in altorilievo. Una scoperta che sconvolge tutti i paradigmi degli studi preistorici.
Il Prof. Schmidt, con felice intuizione, ha ipotizzato che, anche per la sua posizione geografica tra Turchia e Siria, il sito possa aver ispirato gli antichissimi racconti mesopotamici e biblici del Paradiso terrestre, luogo irrimediabilmente perduto quando la civiltà umana passò dal nomadismo, tipico delle società di cacciatori-raccoglitori, a forme di aggregazione stabile e sedentaria basate sull'agricoltura e sull’allevamento. Una fase fondamentale e travagliata nell’evoluzione culturale dell’umanità, che molti specialisti vedono simboleggiata nel dissidio tra Caino ed Abele, a conferma di una verosimile identità tra il leggendario Eden –in sumerico, non a caso, “Giardino” – e questa regione dell’Alto Eufrate, dove a quei tempi – verso la fine dell’ultima glaciazione – viveva allo stato selvatico gran parte delle specie animali e vegetali – ovini, suini, caprini, bovini, cereali e legumi - su cui ancora oggi si basa l’economia agricola mondiale.
Sul tema del "Paradiso Perduto", la Missione, che è sotto l'egida della RAI, delle Autorità Ministeriali della Turchia, con il supporto delle Turkish Airlines, ha anche in progetto una Mostra internazionale, che avrà la sua prima tappa a Torino.
Dal 24 Aprile a metà Maggio 2013, una missione scientifica organizzata dalla Rai - Radio Televisione Italiana, in collaborazione col CeSMAP, Centro Studi e Museo d'Arte Preistorica di Pinerolo e con l'appoggio del National Geographic di Washington, sarà in Turchia, nel sito preistorico di Göbekli Tepe, per raccogliere informazioni scientifiche e realizzare alcuni servizi televisivi per il Tg scientifico tecnologico Leonardo della Tgr e per varie reti Rai. Il gruppo è formato dal Dr. Maurizio Menicucci, inviato scientifico della RAI-TV e referente della Missione, dal Prof. Dario Seglie, Direttore del CeSMAP, dall'operatore Sergio Zenatti, dal fotografo e operatore culturale Mario Della Casa, e da alcuni studiosi turchi, tra cui il Prof. Bora Cem Sevencan. A guidarli nel lavoro sul campo sarà il Prof. Klaus Schmidt dell'Università di Berlino, scopritore, nel 1994, del complesso monumentale di Gobekli Tepe e direttore degli scavi.
Gobekli Tepe, a 18 chilometri dalla città di Urfa sacra ad Abramo, risale al Paleolitico finale, quasi 12 millenni fa – 7 mila anni prima delle piramidi d'Egitto e di Stonehenge - ed è considerato il ritrovamento archeologico più stupefacente degli ultimi anni: templi circolari con grandi pilastri litici del peso medio di 50 tonnellate, lavorati con utensili di pietra, scolpiti con figure di animali e antropomorfe in basso e in altorilievo. Una scoperta che sconvolge tutti i paradigmi degli studi preistorici.
Il Prof. Schmidt, con felice intuizione, ha ipotizzato che, anche per la sua posizione geografica tra Turchia e Siria, il sito possa aver ispirato gli antichissimi racconti mesopotamici e biblici del Paradiso terrestre, luogo irrimediabilmente perduto quando la civiltà umana passò dal nomadismo, tipico delle società di cacciatori-raccoglitori, a forme di aggregazione stabile e sedentaria basate sull'agricoltura e sull’allevamento. Una fase fondamentale e travagliata nell’evoluzione culturale dell’umanità, che molti specialisti vedono simboleggiata nel dissidio tra Caino ed Abele, a conferma di una verosimile identità tra il leggendario Eden –in sumerico, non a caso, “Giardino” – e questa regione dell’Alto Eufrate, dove a quei tempi – verso la fine dell’ultima glaciazione – viveva allo stato selvatico gran parte delle specie animali e vegetali – ovini, suini, caprini, bovini, cereali e legumi - su cui ancora oggi si basa l’economia agricola mondiale.
Sul tema del "Paradiso Perduto", la Missione, che è sotto l'egida della RAI, delle Autorità Ministeriali della Turchia, con il supporto delle Turkish Airlines, ha anche in progetto una Mostra internazionale, che avrà la sua prima tappa a Torino.