Lunigiana e Corsica: analogie di civiltà pastorale
Durante un recente viaggio di studio in Corsica, fatto per studiare il sito di Paleoastronomia di Niolu, ove è stato rinvenuto un trilite con losanga, simile a quello di San Lorenzo al Caprione ed a quello del Lozère (Massiccio Centrale Francese) è stato possibile verificare in quel territorio la presenza di una struttura utilizzata per la seconda essiccazione del formaggio, dopo la prima essiccazione effettuata più in alto, immediatamente in prossimità del luogo di pascolo.
La presenza di questo tipo di costruzione, con vano interno rotondo, dotata di una piccolissima entrata, posta in basso, era già stata verificata nel sito di Scornia del Caprione, ed era parsa di difficile identificazione. Infatti queste costruzioni, dotate di una porticina molto piccola, posta in basso, vengono generalmente indicate, in Liguria, come neviere (depositi per far durare a lungo la neve) ma nel Caprione (promontorio immerso nel mare di Liguria ai confini con la Toscana) questa utilizzazione non pareva proprio accettabile (attualmente il clima del promontorio è mediterraneo secco, con temperature medie annue superiori a 15°, piovosità inferiore a mm 1000 annui ed assenza di precipitazioni nevose per periodi di decine d’anni).
La constatazione della tradizione corsa di usare questi luoghi come essiccatoi per le forme di formaggio trova un pieno riscontro nella tradizione di fare il formaggio pecorino, durata a Tellaro ed alla Serra fino ad oltre la Seconda Guerra Mondiale. In quest’ultima frazione, ove le pecore venivano ricoverate nel piano inferiore delle case, si era resa necessaria una ordinanza dell’Ufficiale Sanitario per far cessare questa tradizione, emessa alla fine degli anni ’60.
Questo uso verrebbe inoltre a spiegare con maggior credibilità e completezza la etimologia dei toponimi menzionati nelle pergamene del fondo dell’Abbazia del Tino, quali casen e caçinagolo, che si rinvengono in documenti relativi al territorio di Biassa. Mentre prima ci si accontentava di farli derivare dal caseum, il formaggio, o dal casin o cascino, cioè il cerchio di legno flessibile con cui dare “forma” alla formaggetta, ora questi toponimi vengono meglio spiegati come luoghi di essiccazione del formaggio, venendo così ad arricchire una tradizione di civiltà materiale presente nel territorio, con specifiche costruzioni, all’uopo studiate sia per le esigenze merceologiche di stagionatura, sia per le esigenze di protezione dagli agenti atmosferici e dagli animali da preda. Si noti come nel Caprione questa specifica costruzione abbia la porticina rivolta a Nord, mentre le numerose restanti costruzioni dette cavanei (tholos o costruzioni a falsa volta ottenute con pietre piatte aggettanti) avevano sempre la porta più ampia (larghezza circa cm 80, altezza circa cm 150) e rivolta verso i quadranti meridionali. Nel contempo si viene meglio a delineare anche l’etimologia della voce casella, con cui in Liguria si chiamano le costruzioni corrispondenti ai nostri cavanei. Mentre questo termine dialettale del promontorio del Caprione deriva dalla antica voce celtica cobhan (luogo rotondo) e fa riferimento alla volumetria interna della costruzione, è ipotizzabile che il termine casella, utilizzato nel resto della Liguria, derivi semplicemente da caseum (voce latina per il formaggio) e sia legato quindi a luoghi di produzione del formaggio, anche se manchino le specifiche costruzioni a porta ribassata.
Nell’ambito della antropologia culturale è interessante notare come nel nostro promontorio - in conseguenza di una penetrazione celtica - permangano sia i cognomi Cabano e Cabani, sia il cognome Casella.
Durante un recente viaggio di studio in Corsica, fatto per studiare il sito di Paleoastronomia di Niolu, ove è stato rinvenuto un trilite con losanga, simile a quello di San Lorenzo al Caprione ed a quello del Lozère (Massiccio Centrale Francese) è stato possibile verificare in quel territorio la presenza di una struttura utilizzata per la seconda essiccazione del formaggio, dopo la prima essiccazione effettuata più in alto, immediatamente in prossimità del luogo di pascolo.
La presenza di questo tipo di costruzione, con vano interno rotondo, dotata di una piccolissima entrata, posta in basso, era già stata verificata nel sito di Scornia del Caprione, ed era parsa di difficile identificazione. Infatti queste costruzioni, dotate di una porticina molto piccola, posta in basso, vengono generalmente indicate, in Liguria, come neviere (depositi per far durare a lungo la neve) ma nel Caprione (promontorio immerso nel mare di Liguria ai confini con la Toscana) questa utilizzazione non pareva proprio accettabile (attualmente il clima del promontorio è mediterraneo secco, con temperature medie annue superiori a 15°, piovosità inferiore a mm 1000 annui ed assenza di precipitazioni nevose per periodi di decine d’anni).
La constatazione della tradizione corsa di usare questi luoghi come essiccatoi per le forme di formaggio trova un pieno riscontro nella tradizione di fare il formaggio pecorino, durata a Tellaro ed alla Serra fino ad oltre la Seconda Guerra Mondiale. In quest’ultima frazione, ove le pecore venivano ricoverate nel piano inferiore delle case, si era resa necessaria una ordinanza dell’Ufficiale Sanitario per far cessare questa tradizione, emessa alla fine degli anni ’60.
Questo uso verrebbe inoltre a spiegare con maggior credibilità e completezza la etimologia dei toponimi menzionati nelle pergamene del fondo dell’Abbazia del Tino, quali casen e caçinagolo, che si rinvengono in documenti relativi al territorio di Biassa. Mentre prima ci si accontentava di farli derivare dal caseum, il formaggio, o dal casin o cascino, cioè il cerchio di legno flessibile con cui dare “forma” alla formaggetta, ora questi toponimi vengono meglio spiegati come luoghi di essiccazione del formaggio, venendo così ad arricchire una tradizione di civiltà materiale presente nel territorio, con specifiche costruzioni, all’uopo studiate sia per le esigenze merceologiche di stagionatura, sia per le esigenze di protezione dagli agenti atmosferici e dagli animali da preda. Si noti come nel Caprione questa specifica costruzione abbia la porticina rivolta a Nord, mentre le numerose restanti costruzioni dette cavanei (tholos o costruzioni a falsa volta ottenute con pietre piatte aggettanti) avevano sempre la porta più ampia (larghezza circa cm 80, altezza circa cm 150) e rivolta verso i quadranti meridionali. Nel contempo si viene meglio a delineare anche l’etimologia della voce casella, con cui in Liguria si chiamano le costruzioni corrispondenti ai nostri cavanei. Mentre questo termine dialettale del promontorio del Caprione deriva dalla antica voce celtica cobhan (luogo rotondo) e fa riferimento alla volumetria interna della costruzione, è ipotizzabile che il termine casella, utilizzato nel resto della Liguria, derivi semplicemente da caseum (voce latina per il formaggio) e sia legato quindi a luoghi di produzione del formaggio, anche se manchino le specifiche costruzioni a porta ribassata.
Nell’ambito della antropologia culturale è interessante notare come nel nostro promontorio - in conseguenza di una penetrazione celtica - permangano sia i cognomi Cabano e Cabani, sia il cognome Casella.